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Restaini: “E’ tempo di compiere riforme strutturali per il paese”

“Sento parlare di un governo pronto a licenziare finanziarie a raffica, della disponibilità dell’Europa a concederci denari, sforamenti e proroghe – commenta la Consigliera Nazionale Anci Lubiana Restaini – La BCE improvvisamente mostra il suo volto umano quasi a garanzia che una valanga di soldi stia per piovere sull’Italia. Sarà pure così, ma visto che i soldi non si raccolgono sugli alberi il fatto di averne un gran bisogno non significa che non dobbiamo domandarci cosa ci chiederanno indietro in ragione di questi generosi prestiti. Visto però, che purtroppo, il flagello del coronavirus ha costretto il nostro paese ad arrestare gran parte del processo produttivo, ora non si avrebbe il tempo per sottilizzare circa la fonte degli approvvigionamenti, ma non appena soddisfatte le esigenze immediate di rivitalizzazione del tessuto economico nazionale occorrerà impiegare i soldi per compiere quelle riforme strutturali che ormai servono da tempo immemore al paese e che tutti sino ad ora si son ben guardati dal porre in essere. Anche perché altrimenti avremmo curato gli effetti ma non la causa dei nostri mali. Per riforme strutturali intendo quelle riforme in grado di generare un’economia sana, reale e produttiva, in cui l’intera filiera industriale torni sul nostro territorio, soprattutto per ciò che attiene i settori strategici o dove la nostra produzione continua ad essere considerata una eccellenza nel mondo. I soldi spesi realmente per uno sviluppo solido e duraturo potrebbero garantire all’Italia la possibilità, nel tempo, di rilanciare la propria economia e di far fronte ai propri impegni, guardando all’Europa non come il luogo a cui rivolgersi per pietire provviste ovvero maggiore flessibilità, ma come una grande opportunità per le nostre imprese di vedersi riconosciuti i propri brevetti e standardizzate le proprie metodologia. Per competere in futuro dovremmo riuscire a ripartire oggi, grazie a questa massiva iniezione di provviste finanziarie, e strutturare quelle riforme in grado di cambiare il volto del Paese abbandonando il conflitto sociale che ancora distingue il salariato dalla partita iva e pianificando i primi pilastri della rivoluzione economica italiana: 1) drastica riduzione delle tasse per le imprese e per i lavoratori; 2) drastica riduzione della burocrazia. Oggi un’impresa paga una total tax annuale pari a circa il 70% delle proprie entrate che nel tempo ha condotto la maggior parte dei nostri prodotti fuori mercato ed ha costretto buona parte delle nostre aziende a delocalizzare. Al contempo, il fatto che per assumere un lavoratore si è costretti a pagare un importo complessivo come se ne assumessi due, ha originato ogni forma di precariato, di elusione, nonché favorito forme di sfruttamento o nella maggior parte dei casi di disoccupazione. Quanto alla burocrazia, costituita da un sistema alluvionale di norme spesso contraddittorie ovvero di difficile interpretazione, ha reso nel tempo il nostro paese una giungla inestricabile in cui imperano inutili attriti, palleggiamenti e ritardi, talvolta sino alla totale paralisi del sistema. Il dimezzamento della total tax e la riduzione del cuneo fiscale, contenendo la contribuzione ad 1/3 dell’ammontare attuale, come del resto già avvenuto con il jobs act purtroppo soltanto per alcune categorie e solamente per un triennio, consentirebbero di rilanciare l’occupazione, di rendere esportabili i nostri prodotti oltreché più competitivi nel mercato interno, di far rientrare in Italia quei segmenti della filiera produttiva altrimenti marginalizzati. Torneremmo ad avere un’economia più equilibrata, più solida ed in grado di fornire direttamente ciò che serve al Paese reale. Che non accada mai più che un paese di 60 milioni di persone non sia più in grado di costruire una banale mascherina od un respiratore che più degli inni, dei flash mob e degli slogan ti salva la vita. Perdere questa occasione per tenere in piedi un sistema insostenibile ed ormai largamente improduttivo farebbe di Noi, perlopiù, un popolo di fattorini delle multinazionali della logistica e di polli da batteria, già oggi in prova nei luoghi di reclusione domiciliare, la cui sopravvivenza verrà garantita almeno sino a quando qualcuno avrà il suo tornaconto a dispensare il mangime. Dopodiché se andrà bene faremo la fine della Grecia, se andrà male, oggi si chiama coronavirus, domani potrebbe chiamarsi in altro modo ed essere assai più potente e mortale … e buonanotte ai suonatori.”